Qualche anno fa, affacciatomi al mondo del trading per iniziare il mio percorso formativo seguii un corso articolato in due giornate (base ed avanzato) tenuto dal Prof. Gerbino (borsaprof.it). Di fatto quello fu il primo mio corso, e debbo dire che il programma era davvero ben congegnato e ben erogato. Ovviamente ci furono molti argomenti che colpirono la mia attenzione, ma in particolare, ragionando da bancario addetto agli investimenti della clientela (meglio conosciuto come “operatore titoli”, sebbene adesso i vari istituti di credito utilizzino definizioni di stampo anglosassone, considerate di maggior impatto, o comunque più “fashion”) fui affascinato dal ciclo del mercato e in particolare da una fase: l’accumulazione.
In termini estremamente sintetici, Charles Dow, esponendo la sua teoria (sul web per chi volesse approfondire, c’è vasta abbondanza di fonti) definisce l’accumulazione come una fase di mercato in cui gli operatori qualificati ed informati acquistano a prezzi bassi (termine che qui accetto in termini relativi, dato che nel trading i prezzi sono davvero identificabili come bassi solo dopo che il trend rialzista si è palesato) sviluppando una fase laterale (altro termine assolutamente relativo, dato che in punti percentuali il range di lateralità può essere anche decisamente esteso; il tutto sarà meglio comprensibile successivamente, quando mostrerò il grafico settimanale di Unicredit) caratterizzata da un progressivo incremento dei volumi medi.
Ultimato il processo di accumulazione (che può durare anni) inizia poi una fase di partecipazione dove in sequenza iniziano ad entrare in acquisto i primi traders tecnici e successivamente anche il pubblico (definibile come insieme dei medio-piccoli risparmiatori), originando un trend positivo e conseguentemente una prima accelerazione del mercato con incremento progressivo della curva disegnata dal grafico.
Il ciclo rialzistico di mercato va poi a concludersi con la fase di distribuzione, nella quale si registra la completa partecipazione della “forza d’acquisto” (ovvero dei compratori), con i prezzi a segnare nuovi massimi (non necessariamente storici, ma anche solo relativi) e i famosi operatori ben informati (ovvero i signori che avevano dato vita al ciclo) ad iniziare ad alleggerire progressivamente le loro posizioni fino alla completa liquidazione, culminante poi con un nuovo ciclo di ribasso caratterizzato da un crollo da panico e la segnatura di minimi da “depressione” (ovvero quando anche gli ultimi “ottimisti” perdono ogni speranza, liberandosi dei loro titoli a qualsiasi prezzo).
Vediamo allora di mostrare questo tipo di dinamica aiutandoci dapprima con l’esempio di Fiat (grafico settimanale, ed immagine espandibile cliccando su di essa), partendo dal periodo 2003-2005 fino al culmine dei rialzi avvenuto nel 2007 (prima del palesarsi della crisi di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze):
Come si può vedere nel grafico, tra la seconda metà del 2003 e la prima metà del 2005 (circa) Fiat presenta tutte le caratteristiche descritte da Dow nella fase di accumulazione, con picchi di volume sui minimi e incremento della media degli scambi (nell’istogramma dei volumi ho infatti inserito una media a 55 periodi, ovvero corrispondente a circa un anno) dove è riscontrabile un secco aumento di pendenza della stessa a seguito del test di zona 2 Euro circa, effettuato verso la fine di Luglio 2003. Il processo di accumulazione è terminato con la segnatura di un minimo attorno a 1.73 Euro registrato a metà Aprile 2005. Da questo minimo il titolo ha messo a segno un rally capace di offrire una performance del 452.75% in 116 settimane e culminato con un massimo segnato attorno a 9.60 Euro, corrispondente ad un ritracciamento del 50% di tutta la discesa scatenatasi dopo lo scoppio della bolla speculativa a cavallo tra il 1999 e il 2000. A seguito di questo trend rialzista, è seguita poi la discesa originata dallo scoppio della crisi subprime. Ho segnato a livello indicativo le varie fasi del ciclo di Dow, senza pretesa di eccessiva precisione ma a puro titolo illustrativo, al fine di mostrare l’effettiva riscontrabilità di questa teoria anche a distanza di lunghi anni.
Questa è la storia, ma vediamo cosa sta invece accadendo ai giorni nostri sul titolo Unicredit (grafico settimanale anche in questo caso):
Innanzitutto la prima cosa che mi salta all’occhio è il picco di volumi registrato proprio in occasione della segnatura del minimo di 2.154 Euro a Gennaio 2012 (che strana coincidenza…), dopo di che invito a riflettere sul cambio di pendenza della media 55 dei volumi: ricorda molto quanto successo sul titolo Fiat. Ho identificato il movimento di Unicredit come una possibile accumulazione e sto dunque riflettendo su questo scenario. Cercherò allora di fare alcune riflessioni, cercando di tenere in considerazione i dati in mio possesso ad oggi.
IMPOSTAZIONE TECNICA
Come precedentemente esposto, Unicredit presenta le caratteristiche elencate da Charles Dow circa il processo di accumulazione: abbiamo un picco di volumi sul minimo storico, ed un incremento (significativo) della media degli scambi, abbiamo registrato un ritest della zona dei minimi, dai quali è iniziato un trend rialzista ben strutturato con minimi crescenti che finora ha prodotto una performance di poco inferiore al 170% in circa 90 settimane, con la segnatura di un top a 5.68 registrato nella settimana appena conclusasi. Dal punto di vista tecnico posso quindi ricavare un quadro rialzistico ancora in corso.
POTENZIALE TARGET ED ESTENSIONE TEMPORALE DEL CICLO RIALZISTA
Identificare un target e la durata di un ciclo, è naturalmente arduo compito. Innanzitutto vorrei aiutarmi col caso Fiat e con i ritracciamenti di Gann (ovvero la suddivisione del range tra massimo e minimo storico in segmenti da 1/8): come si può vedere nell’esempio tratto dall’andamento della società torinese, posso ben vedere che il rally 2005-2007 ha trovato la sua massima estensione nella zona del 50% circa di ritracciamento della grande discesa conseguente allo scoppio della bolla “tecnologica” a cavallo tra il 1999 ed il 2000. Potrei quindi identificare un’area tra 21.50 e 22 euro su Unicredit. Dal punto di vista dell’estensione temporale del trend (studio a mio parere ancor più arduo) terrei in considerazione la durata del ciclo Fiat dal momento in cui ho registrato il cambio di pendenza della media dei volumi: 206 settimane, 4 anni circa in pratica. Così fosse avrei “tempo” fino a dicembre 2014.
TEORIA DI DOW E MACROECONOMIA A CONFRONTO
Partiamo prima di tutto dai punti principali della teoria di Dow
1. Il mercato sconta tutto
2. Il mercato è formato da trend : trend primario, secondari e minori
3. Il trend primario è costituito da tre fasi: accumulazione,partecipazione e distribuzione
4. Le medie devono confermersi a vicenda
5. Il volume deve confermare il trend
6. Un trend esiste fino a quando non emerge un chiaro segnale d’inversione.
A questo punto devo pormi una domanda: voglio basarmi sulla teoria di Dow, oppure voglio guardare la realtà che mi circonda, la crisi che si respira a livello globale e qui in Italia in particolare?
Perchè il discorso qui è molto molto lineare: se mi baso sulla teoria di Dow, allora non posso che dedurre che Unicredit abbia i crismi del titolo in trend rialzista originato da un ciclo di accumulazione; se invece mi baso sulla realtà che mi circonda, tenderei a domandarmi quali motivazioni di carattere macroeconomico possano spingere il titolo guida del nostro listino (Unicredit è il titolo mediamente più scambiato del Ftse Mib, indice altamente bancarizzato, e Unicredit è la più internazionale delle banche italiane) verso prezzi (avevo detto 21.50/22.00) che ad oggi 19 Ottobre 2013 paiono folli…
La risposta a questa domanda, almeno per quello che riguarda il sottoscritto, è clamorosamente semplice. Io faccio il trader e baso i miei studi sui principali assunti dell’analisi tecnica (seguirò dunque Dow), e sono abituato ad impostare le mie analisi sulla base del rischio/rendimento. Ragionerò dunque da trader, in questo specifico caso, di lungo periodo (sebbene io di regola, sia un daytrader). Aggiungo anche un semplice ragionamento: esistono grandi case di investimento che impiegano le migliori menti del pianeta al fine di tracciare stime dei possibili sviluppi dei cicli economici, spesso ci prendono, ma comunque non sempre. Anche qui ho una domanda che mi presenta una semplice risposta: posso io Marco Tosoni, abitante di un paesino della provincia di Brescia e semplice trader avere la presunzione di prevedere il ciclo economico e trarre dalle mie analisi di carattere fondamentale le possibili evoluzioni di una banca come Unicredit? No. Mi pare ovvio, sarei presuntuoso e decisamente ingenuo (per non dire brutte parole) a pensare il contrario.
Quel che posso fare è dunque guardare il grafico, e iniziare a ragionare sui dati dei quali dispongo, che quanto meno hanno la caratteristica di essere reali ed incontrovertibili.
COSA POSSO FARE
1. Identificare il rischio: sto considerando di investire su Unicredit nel lungo periodo. La prima domanda da pormi è questa: qual è la peggior ipotesi in assoluto? La peggior ipotesi è il fallimento del titolo (che considero francamente improbabile, ma che da professionista non posso ignorare), e la conseguente perdita di tutto l’ammontare del mio investimento. L’alternativa è piazzare uno stop loss sotto il minimo di Gennaio 2012. Piazzando uno stop qualche punto percentuale sotto il minimo, avrei dunque una perdita stimabile nel 65.00%. Vista l’entità dello stop, tanto vale identificare come rischio, l’intero capitale che intenderò destinare a questo tipo di investimento.
2. Dimensionatura della mia posizione: prendendo spunto dal mio passato come Addetto titoli bancario, ragionerò dunque in termini di patrimonio: considero questo investimento come altamente rischioso, sia perchè trattasi di mercato azionario, sia perchè entrerei in posizione comunque su un titolo che di corsa dai suoi minimi ne ha fatta parecchia. Fatto dunque 100 il mio patrimonio, e stimato che attraverso una buona selezione di strumenti a basso rischio, riesca a stimare l’entità delle mie cedole (diciamo “garantite”) attorno al 2.50% netto, potrei ragionare in questi termini:
a) destinare il 90% del mio patrimonio in attività finanziarie a basso rischio. Ipotizzando cedole per il 2.50%, avrò un ritorno sul portafoglio del 2.25%.
b) destinare il 10% del mio patrimonio in attività finanziare ad alto rischio. Diciamo che per fare trading quotidiano, utilizzerò l’8% del patrimonio, mentre il 2% lo potrò impiegare per trovare qualche titolo che come Unicredit, stuzzichi la mia fantasia di lungo termine.
3. Stimare il mio rischio/rendimento: ho deciso dunque di destinare il 2% del mio patrimonio a questo investimento, questo è dunque il mio rischio. Se invece Unicredit riuscisse a centrare l’ambizioso target identificato (facciamo 22.00 Euro, cifra tonda) allora avrei una rendita di circa il 230% netto pari al 4.66% del mio patrimonio. Il mio rischio rendimento sarà dunque 4.66/2.00 = 2.33. Questo è un buon risultato e come trader può andarmi bene.
A questo punto, che la mia analisi si riveli corretta o meno in futuro, ho già comunque fatto un passo fondamentale, ovvero determinare prima di trovarmi nei guai, quanto sono disposto a rischiare per monetizzare l’eventuale concretizzazione positiva della mia analisi.
Il succo del discorso è tutto qui: quando si fa trading sia esso scalping o investimento di lungo periodo, la prima cosa da fare è stimare il rischio. Io sono fermamente convinto che gli errori di carattere comportamentale in ambito di investimento e trading siano prevalentemente causati da un approccio sbagliato verso il rischio. E’ quando la posta in gioco è troppo alta che si perde la lucidità.
E’ vero che in questo esempio, guadagnare il 4.66% del mio patrimonio non mi cambierà la vita, ma è altresì vero che perdere il 2% non mi porterebbe mai e poi mai alla rovina finanziaria…rischio e rendimento, questa è la chiave e il sottile equilibrio che ognuno di noi deve trovare.
Analisi e ragionamento chiari e condivisibili.